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domenica 27 settembre 2009

The age of stupid”: restano cento giorni per salvare il mondo



poster canvas art riproduzione quadri
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Argentina, “The age of stupid”: restano cento giorni per salvare il mondo





In vista del grande incontro sul clima esce nelle sale cinematografiche di 45 paesi

Scritto da
Matteo Acmè




Anno 2055, in un base in mezzo al mare artico che conserva tutta la conoscenza umana, un sopravvissuto al disastro ambientale che ha sconvolto la Terra si chiede costernato: "Potevamo salvarci e non l'abbiamo fatto, in che stato mentale ci trovavamo?"
Inizia così "The age of stupid", film-documentario prodotto da Green Peace che verrà distribuito a partire da martedì 22 in 45 paesi, pensato per far pressione sui grandi della terra, riuniti in questi giorni nel G20 di Pittsburgh, in vista del grande incontro sul clima organizzato in dicembre a Copenaghen dalle Nazioni Unite.
Il messaggio del film è semplice: visto come viviamo e quanto consumiamo, il cambiamento climatico e le sue tragiche conseguenze non sono per nulla sorprendenti. Unica soluzione? Cambiare immediatamente le nostre abitudini, guarire dalla dipendenza dal petrolio e ridistribuire in maniera più equa le scarse risorse del pianeta fra paesi ricchi e paesi poveri.
"The age of stupid" è un'efficace mix di previsioni sul clima e l'ambiente basate sulle posizioni scientifiche dominanti (come avvertono i produttori nei titoli di testa) e storie dei giorni nostri, intrecciate dall'attore Pete Postlethwaite, il sopravvissuto, che ricorda agli spettatori le tappe che hanno portato, nella finzione del film, allo scenario da fine del mondo del 2055.

Cinque storie, lontane nello spazio ma strettamente collegate fra loro raccontano il nostro "stato mentale": una vecchia guida di montagna francese, memoria storica di come è cambiato il clima alpino, una ragazza del delta del Niger che sogna di diventare dottoressa, due fratellini iracheni scappati in Giordania dopo l'ultima guerra, un dipendente del colosso petrolifero Shell, sopravvissuto all'uragano che ha distrutto New Orleans, un indiano fondatore di una compagnia aerea, un inglese che di mestiere progetta impianti eolici.
Storie diverse, storie lontane, con un unico filo conduttore: il consumo e la voglia di crescere e arricchirsi. Il consumo sono i camion che inquinano la valle di Chamonix per attraversare il Monte Bianco e "portare latte e uova in Italia, e riportare indietro formaggi e maionese", come lamenta la vecchia guida francese. Il consumo è il petrolio, causa della guerra in Irak e Afghanistan, e responsabile del disastro ambientale in Niger e della poverta' degli abitanti del delta. Poi c'è il sogno del magnate di New Dehli che "vuole permettere a tutti gli indiani di volare low cost", insensibile alle implicazioni ambientali del viaggiare in aereo perchè "questo è il progresso". E c'è chi prova a immaginare un mondo di energia pulita, come Piers Guy, che con i suoi impianti eolici si scontra con la diffidenza della gente che non vuole le torri "nel proprio giardino".

Torniamo nel 2055: "Abbiamo rotto il patto con i nostri figli", racconta il sopravvissuto, "con cui abbiamo promesso di lasciare il mondo migliore di come l'avevamo trovato". E continua "I nostri figli non erano arrabbiati con noi, erano troppo impegnati a cercare di sopravvivere al disastro che abbiamo causato. Ma i nostri nipoti, loro sì, saranno molto arrabbiati".
Prima di chiudere il suo messaggio dal futuro Pete Postlethwaite fotografa l'atteggiamento degli uomini nel 2009: "E' come se stessero correndo in cerchio sulla spiaggia, in un girotondo, concentrandosi ognuno sul pezzetto di terra sotto i suoi piedi. E nessuno che si accorge dello tsunami che dal mare si avvicina alla costa".


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