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martedì 16 agosto 2011

Trivelle in mare, i nuovi pirati del Mediterraneo





Trivelle in mare, i nuovi pirati del Mediterraneo


Almeno 117 le nuove trivelle che hanno l'autorizzazione di ricerca sul territorio italiano. Di queste 25 per estrarre idrocarbuti dai fondali marini, soprattutto della Sicilia e delle coste centro-meridionali dell'Adriatico. Ma le riserve stimate sarebbero appena di 187 milioni di tonnellate, utili solo per 30 mesi. Un rapporto di Legambiente.


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Una superficie di mare italiano di circa 30mila chilometri quadrati, più grande dell'estensione della regione Sicilia, rischia la realizzazione di nuove piattaforme petrolifere a terra e in mare. Le attenzioni fameliche delle aziende energetiche internazionali riguardano soprattutto il canale di Sicilia e le coste adriatiche di Puglia, Molise, Abruzzo e Marche. È questo l'allarme lanciato Legambiente, con il dossier “Un mare di trivelle” (pdf), presentato durante la navigazione della Goletta Verde tra il Gargano e le isole Tremiti, un’area oggetto di diverse richieste di ricerca di idrocarburi.
Il rapporto illustra tutti i numeri e i rischi legati alle 117 nuove trivelle che, grazie ai permessi di ricerca di idrocarburi rilasciati fino ad oggi, minacciano il mare e il territorio italiano. Solo nell'ultimo anno infatti, sono stati concessi 21 nuovi permessi di ricerca per un totale di 41.200 kmq Qualenergia.it, Mare Nostrum da trivellare e Texas Italia).
Il mare non viene risparmiato: sono 25 i permessi di ricerca già rilasciati al 31 maggio 2011 al fine di estrarre idrocarburi dai fondali marini, per un totale di quasi 12mila kmq a mare, pari ad una superficie di poco inferiore alla regione Campania: 12 permessi riguardano il canale di Sicilia, 7 l'Adriatico settentrionale, 3 il mare tra Marche e Abruzzo, 2 in Puglia e 1 in Sardegna.
Se ai permessi rilasciati, sommiamo anche le aree per cui sono state avanzate richieste per attività di ricerca petrolifera, l'area coinvolta diventa di 30mila kmq, una superficie più grande della regione siciliana, segnala l'associazione. Nel dettaglio, le aree di mare oggetto di richiesta di ricerca sono 39: 21 nel canale di Sicilia, 8 tra Marche, Abruzzo e Molise, 7 sulla costa adriatica della Puglia, 2 nel golfo di Taranto, e 1 nell'Adriatico settentrionale.
"Siamo di fronte ad un vero e proprio assedio del Mare Nostrum da parte delle compagnie straniere, che hanno presentato il 90% delle istanze di ricerca nel mare del nostro Paese, considerato il nuovo Eldorado, grazie alle condizioni molto vantaggiose per cercare ed estrarre idrocarburi – ha detto Stefano Ciafani, responsabile  scientifico di Legambiente - ma, come ripetiamo da anni, il gioco non vale la candela: secondo il Ministero dello Sviluppo economico le riserve stimate sono pari a 187 milioni di tonnellate che, considerando il tasso di consumo del 2010 di 73,2 milioni di tonnellate, verrebbero consumate in soli 30 mesi, cioè in 2 anni e mezzo".
In Italia nel 2010 sono state estratte poco più di 5 milioni di tonnellate di petrolio (4,4 milioni di tonnellate a terra e circa 700mila tonnellate a mare), pari al 7% dei consumi totali nazionali di greggio. Il petrolio dai fondali marini è stato estratto utilizzando 9 piattaforme e 83 pozzi ancora produttivi. La produzione di petrolio offshore, da trivellazione a mare, si concentra in due zone: a largo della costa meridionale siciliana, tra Gela e Ragusa, dove nel 2010 si è prelevato il 54% del totale nazionale estratto dai fondali marini, e nel mar Adriatico centro meridionale dove è stato estratto il restante 46%. Ed è proprio su queste due zone che si concentra maggiormente l'attenzione delle compagnie per le nuove trivellazioni: una lottizzazione senza scrupoli che non risparmia nemmeno le aree marine protette, come nel caso delle Egadi o delle Tremiti.
Legambiente ha spiegato che lo scorso aprile il ministero dell'Ambiente, con quello dei Beni culturali, ha approvato la Valutazione di Impatto Ambientale relativa a un programma di indagini della Petroceltic Italia srl (che addirittura parla di 'ecodrilling') in un'area a ridosso delle isole Tremiti e la decisione ha riaperto la corsa al petrolio intorno al pregiato arcipelago, dopo che le dichiarazioni dello stesso ministro dell'ambiente Prestigiacomo e il decreto legislativo 128 del 20 giugno 2010, che vincola le attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi in mare, sembravano avessero fatto prendere una direzione opposta.
Ad aggravare la situazione incombono inoltre "leggi 'ad trivellam' che allentano le maglie ai divieti imposti dal ministro dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo la scorsa estate. Ultimo favore alle trivellazioni è arrivato il 7 luglio con il decreto legislativo di attuazione della direttiva sulla tutela penale dell'ambiente, ha denunciato Legambiente. Senza alcun pudore, si è utilizzato un provvedimento che avrebbe dovuto rafforzare le misure di tutela ambientale per inserire un comma che in realtà permette di aggirare il divieto alle attività di ricerca, prospezione ed estrazione di idrocarburi in mare per il Golfo di Taranto. Di fatto, il comma rende nuovamente possibile svolgere attività di ricerca all'interno del golfo, proprio quando tutte le istanze presenti in quest'area erano in fase di rigetto, visti i nuovi vincoli fissati nell'estate del 2010.
Sempre in favore delle compagnie petrolifere è attualmente in discussione in Parlamento anche un altro disegno di legge che prevede la 'Delega al governo per l'adozione del testo unico delle disposizioni in materia di prospezione ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi'. Un provvedimento di semplificazione dell'iter autorizzativo che esclude qualsiasi motivazione di carattere ambientale, bocciato all'unanimità dalla commissione Ambiente del Senato nei primi giorni di luglio e che si spera non arrivi all'approvazione.
“Nelle Isole Tremiti, come in tutta Italia il futuro del mare sta nel turismo di qualità e nella pesca sostenibile, non certo nella minaccia di nuove piattaforme petrolifere che rappresentano una seria ipoteca sul futuro delle nostre coste, come ha dimostrato la tragedia ambientale del Golfo del Messico dello scorso anno", conclude Stefano Ciafani, responsabile  scientifico di Legambiente.


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